sabato 26 agosto 2017

RAFO

È bello soffrire una vita perché altri ne godano per l’eternità

Nel piano inferiore del cimitero di San Miniato, sulla destra, tra le sepolture degli inizi Anni Sessanta, sulla tomba di Raffaello Fossi si legge questa iscrizione che riassume il principale messaggio della sua breve ed intensa vita artistica.
L’8 gennaio del ‘62 segna per Rafo la fine di speranze e di sogni che erano riusciti a dare un senso alla sua sofferenza fisica attraverso la musica, la poesia, la scultura e soprattutto la pittura, dando spazio ad un suo percorso artistico interamente finalizzato all’amore per la vita ed alla gioia stessa del vivere.
La morte quasi improvvisa giunta a 33 anni alla vigilia del suo tanto agognato viaggio a Parigi, dove pensava di prendere contatto con le avanguardie artistiche presenti allora nella capitale francese, interrompeva bruscamente un percorso che, dopo tante difficoltà e delusioni, sembrava essere arrivato ad un successo che lo stava consacrando anche agli occhi di un pubblico più vasto accanto agli amici Loffredo, Tirinnanzi, Venturi, Gambassi, Bergomi, Pini, Midollini, Antonio e Xavier Bueno.
Il percorso artistico di Raffaello Fossi era iniziato nel Castello di Signa negli anni a ridosso del secondo dopoguerra, in un momento ricco degli stimoli e delle forze propulsive tipiche della ricostruzione.



La presenza a Signa della “bottega” di un artista del livello di Giuseppe Santelli e di una notevole attività artigianale legata alla produzione di ceramica e di terrecotte artistiche contribuì a mostrare a molti giovani signesi e lastrigiani la bellezza di misurarsi con i temi dell’arte favorendo la nascita di pittori e scultori capaci di lasciare una profonda traccia nella storia artistica di questo territorio come Moschi, Catarzi, Bertelli, Borgini ed i fratelli Cartei.
Per Rafo alle prime esperienze pittoriche, sviluppatesi nella scuola di Giuseppe Santelli, che da subito ne aveva individuato il talento naturale, seguirono quattro anni di studio presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze sotto la direzione del professor Giorgio Settala seguiti a loro volta da un periodo di perfezionamento nella Scuola del Nudo.
Una forte preparazione su ogni tecnica pittorica si accompagnerà a continui tentativi ed esperimenti che porteranno Rafo ad avventurarsi in ogni ambito artistico mantenendo al tempo stesso una forte tensione culturale caratterizzata sia dalla lettura che dallo studio di filosofi e scrittori non solo contemporanei.
La sua partecipazione attiva all’interno del dibattito culturale ed artistico fiorentino contribuirà a far si che ogni sua opera fosse accompagnata da una sua vivace filosofia di fondo sorretta dalla certezza del ruolo dell’arte nel progresso dell’umanità.
Fra le sue citazioni più ricorrenti la definizione di Prassitele sull’arte.
È nemica della guerra perché è un dono dell’uomo all’uomo.
I problemi fisici da cui era affetto che da un lato ne limitavano i movimenti, dall’altro lo caricavano di rabbia, di passione, di voglia di vivere e di fare.


Proprio in un momento di seminfermità, relegato nella sua camera di via dell’orologio, iniziò le sue prime sperimentazioni pittoriche lungo percorsi diversi e spesso contraddittori che gli offrirono gli strumenti tecnici fondamentali per lo sviluppo di un proprio stile sempre più libero dagli schemi accademici che troverà uno sbocco fondamentale nell’attenzione verso Rosai e la sua opera.
Proprio Ottone Rosai avrebbe suggerito l’uso del nome d’arte RAFO utilizzando le due lettere iniziali del nome e del cognome: dal 1957 quasi tutta la produzione sarebbe stata siglata con quello pseudonimo.
Lo stesso Rosai in una lettera del 5 aprile 1957 incoraggiava l’amico pittore a credere nella sua opera ed a continuare nei propri originali percorsi d’arte.
Caro RAFO, ho visto e guardato con interesse i tuoi disegni. Mi è sembrato scorgervi un temperamento e una tua autenticità d’artista. Lavora e credi nella tua verità.
Con il 1957 inizia un periodo segnato da importanti mostre con le quali si sviluppa un rapporto ancora più intenso con gli amici pittori e con critici d’arte capaci di cogliere le novità di un messaggio pittorico carico di contenuti originali. 

 
Il registro delle firme di queste sue mostre inizia con una breve pagina dattiloscritta, datata marzo 1957, nella quale RAFO prova a spiegare il significato delle sue scelte artistiche e della sua volontà di offrirle alla visione ed alla comprensione degli altri.
Mi sembra opportuno dire il perché di questo mio primo contatto con il pubblico e la critica, di questo mio mostrare per immagini, ciò che è in me, ciò che sente la mia sensibilità artistica.
Ho lavorato più di dieci anni per prepararmi, con ricerche e studi che di giorno in giorno crescevano d’interesse e d’entusiasmo maggiore quando altri pittori vedendo i miei disegni, le mie pitture, mi incoraggiavano a continuare.
Ho acquistato con l’esperienza, lentamente, quel potenziale che ci fa operare via via che altri artisti mi davano la mano consapevoli della mia serietà, del mio impegno che si tramuta in fede.
E così che necessariamente continuerò a dipingere per tutta la vita fino a quando potrò donare, (…)
Questo mio ingresso nella vita artistica è per me come per il neonato un battesimo, una celebrazione d’un rito da lungo tempo aspettato. (…)”
La definizione dell’arte intesa come dono è un motivo di fondo del suo pensiero che si può riscontrare in una delle frasi che lo accompagnavano e che scriveva sui muri dei suoi studi, a Signa in via dell’orologio e a Firenze in via XXVII aprile; questa era ripresa da una citazione di Modigliani e recitava:
La vita è un dono di coloro che sanno e che hanno a coloro che non sanno e che non hanno.

Il primo giugno del 1957 fu inaugurata la sua prima esposizione presso la Galleria “Vigna Nuova” di Firenze, cui seguirono in successione, oltre a ripetute partecipazioni a concorsi e a collettive, altre mostre personali che ebbero, come si può rilevare da articoli di stampa, grandi successi di critica e di pubblico. Nell’ottobre del 1957 si tenne una nuova personale presso la Biblioteca Comunale di Empoli mentre il 1958 vide i successi della Galleria “Falsetti” di Prato e, di nuovo, della Galleria “Vigna Nuova” di Firenze. 


Nella presentazione di una sua mostra il tentativo di definire lo stile e le finalità della propria pittura:
“…È un discorso iniziato nel 1948, parlo s’intende di linguaggio pittorico. All'inizio del 1957 arrivai al così detto Astrattismo, al quadro non oggettivo e proseguendo non mi restava che la tela bianca. Da questa interessante scoperta, il mio ritorno a riguardare l'oggetto, la natura. Tornare con tutte l'esperienze del secolo XX allo spirito dell'uomo primitivo in una nuova sincerità che comunicasse a tutti gli uomini universalmente quello che il mio cuore sentiva, quello che l'uomo in me voleva dire, donare quelle visioni che la critica chiama arte con l'A maiuscola. Comprendere la natura significa afferrare il cuore dell'Universo e farlo suo, svelare il segreto del tempo che muta le cose, oltrepassare gli oggetti nell'apparenza e vederne l'intima realtà. Perciò prima dei problemi umani e sociali studiare, la natura è stato il compito che mi sono prefisso e che in pittura continuo a svolgere. Vedere una foglia e riuscire a dipingerla coll'essenziale di linee e colori è come dipingere il tutto perché in essa questi si racchiude. Semplicità di linee, pochi colori, temi eterni come il giorno e la notte, ecco questa mia pittura in una materia ordinata armoniosamente; attimi del tempo che restano eterni e che la natura ripropone innovandosi.
Parlare del lato tecnico, economico, sociale è parlare dell’uomo perché quelle tele, quelle e non altre, è chiedere la mia vicenda umana. Chiedere la ragione delle privazioni, dei tormenti, dell’intenso lavoro e studio è chiedere il perché della volontà che lotta incessante ai richiami facili per una vita comoda. La continua rinuncia al companatico, i periodi di solitudine, i rimproveri, le risate, gli sberleffi, è chiedere la mia vita personale ed allora troppe cose bisognerebbe dicessi ed alla fine del lungo discorso vi avrei stancato, rattristito. …”
Nel luglio del 1959 la Galleria “Spinetti” di Firenze ospiterà una personale che, secondo Umberto Baldini, segnerà la piena maturazione artistica di RAFO. In un suo articolo, pubblicato sulla Nazione del luglio 1959, Baldini scriverà:
Una notevole serie di dipinti, frutto dell’attività dell’ultimo triennio, presenta il pittore Rafo alla Galleria Spinetti di Chiasso degli Armagnati. La rassegna acquista valore ed interesse soprattutto perché dà la possibilità di individuare con chiarezza la ricerca attuale dell’artista, dopo le esperienze soggettivistiche su base astrattista. Tale ricerca sembra anzi avere trovato, proprio nelle più recenti opere, una buona predella di lancio, un ottimo punto di partenza per una prospettiva assolutamente nuova in lui e ugualmente interessante. La grafia schematica e geometrica nella quale forse anche un po’ cerebralmente aveva cercato per ricostruire la forma e l’oggetto, lo sta infatti portando verso una scioltezza di linguaggio felice ed immediato, sensibile e vibrante. Certi suoi paesaggi, certi suoi appunti di colori e di spazio, hanno una coesione ed un ritmo veramente notevoli e hanno già – e non è poco – uno stile, una personalità, una qualità inconfondibile.”
Nelle parole di Baldini la consapevolezza del compimento di un percorso iniziatico con l’attraversamento di molti stili e l’arrivo a quella “verità” indicata da Rosai pochi anni prima.
La mostra alla Galleria “Il Bulino” di Ferrara, nell’autunno del 1960, costituirà un altro importante passaggio nella direzione di una presa di coscienza sempre più forte nei confronti dell’approdo ad un più definito stile personale che, valorizzando ogni momento ed ogni esperienza provata nei vari ambiti seguiti dal pittore andava segnando le principali caratteristiche della sua arte.


Abbandonate col tempo le pur utili sollecitazioni esterne e muovendosi arditamente su percorsi più liberi ed a lui più congeniali si assiste, nell’ultimo periodo, alla produzione di opere particolari, nelle quali si legge il suo passato, ma che si risolvono in un’autonomia piena e con uno stile sicuramente inconfondibile.
La sua capacità di esprimersi utilizzando le più particolari tecniche pittoriche fu utilizzata anche su quelle tematiche di valenza politica e civile che animavano il dibattito dei primi Anni ’60. La guerra fredda e il timore di un conflitto nucleare rappresentarono alcuni dei fronti in cui Rafo impegnò direttamente il suo pensiero e la sua arte.
La Mostra Antinucleare che si terrà a Firenze nel 1961 vedrà la sua partecipazione con un quadro di notevoli dimensioni dal titolo “La fine”. Questo dipinto, oggi esposto nella Sala Consiliare del Comune di Signa, rappresenta due mani scheletrite, su di uno sfondo verde, irreale, che si aggrappano ad un reticolato di filo spinato, quasi a testimoniare, con quella citazione da campo di sterminio nazista, che quanto era accaduto poteva nuovamente accadere nella prospettiva di un nuovo olocausto universale. Portandosi dietro la foto di questo dipinto, Rafo partecipò, giovedì 21 dicembre 1961, ad una trasmissione televisiva dal titolo “Arti e Scienze”.
I grandi quadri su iuta, le ragnatele, le immagini che vanno ben oltre l’ambiente ed il contesto tipico dei primi anni sessanta, costituiscono elementi originali di forte tensione artistica estremamente coinvolgenti anche per chi li guarda.
Sempre Umberto Baldini scriverà su “La Nazione” del 26 giugno 1961:
“ … i risultati appaiono veramente notevoli specie se confrontati con l’ultima sua attività: c’è più libertà, più piglio, più incisività nel suo linguaggio che va risolvendo in emozioni di larga cromia il recente cristallizzarsi di una quasi geometrica elaborazione …”
Nella bellezza delle sue opere e nel raggiungimento di un obiettivo tanto desiderato la finale paura di perdere quella tensione artistica che lo aveva spinto verso simili risultati: confidava al fratello, nei mesi precedenti la sua prematura scomparsa, che ormai si sentiva assuefatto alla vita ed esprimeva il timore di non riuscire più ad evolvere la sua arte verso nuove e dinamiche direzioni.



Parigi, il suo mondo culturale ed artistico, con la presenza forte dell’esistenzialismo, avrebbero potuto sollecitare nuovi percorsi, capaci di annullare una quiete, più presunta che vera, che Rafo intendeva anche come morte dell’arte.
Nel momento in cui la sua pittura cominciava ad affermarsi la sua vita terminava; ma se è vero che l’arte rappresenta l’unico vero elemento in grado di parlare un linguaggio universale, capace di superare i limiti del tempo e dello spazio, Rafo è ancora vivo attraverso le sue opere ed il suo messaggio artistico. Le “verità” di cui parlava Rosai, nel pensiero, oggi, di quanti lo hanno conosciuto ed apprezzato, nell’animo, domani, di chi osserverà e comprenderà i suoi quadri.

Signa, 15 agosto 2007                                                                                 Giampiero Fossi

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