Ognissanti:
il giorno festivo che precede la festa dei morti.
Ricordo il
velo di tristezza che avvolgeva queste giornate e la mestizia,
sentita o di forma, che segnava i comportamenti delle persone
talvolta vestite di nero come a lutto.
Ricordo le
visite al cimitero, le tombe, i fiori, i lumini come parte di un
rituale triste che solo le mele rosse caramellate comprate ai bambini
fuori dai cancelli sembravano attenuare.
Ricordo il
rosario dei morti recitato la sera in un latino improbabile con il De
Profundis e il Dies Irae. Nessuno quella sera sarebbe uscito e non
per non incontrare i morti in processione come veniva detto ai
bambini: quella sera era dedicata al ricordo di chi non c'era più e
ognuno voleva sentire, anche con quelle preghiere, la continuità di
un legame temporaneamente interrotto.
Non era, in
una chiesa ancora pre conciliare, forte l'immagine di una salvezza
eterna che attendeva dopo la morte: il mondo di là era visto con
tinte dantesche e nei santini dedicati alle sante anime del
Purgatorio si vedevano fiamme che ispiravano più che a una divina
misericordia ad un proseguo di sofferenza anche dopo la morte.
Da noi il
legame con i morti mantiene dei valori specifici che precedono lo
stesso cristianesimo. Il culto romano dei Lari aveva addirittura
divinizzato le figure dei defunti facendo loro assumere il ruolo di
protettori della famiglia a cui dedicare anche edicole votive.
Negli ultimi
decenni una grande svolta antropologica ha fatto pulizia di molte
superstizioni, frutto spesso di ignoranza, eliminando però l'essenza
di elementi fondamentali della nostra cultura cristiana e
occidentale.
Possono
essere carini i bambini vestiti da scheletro per Halloween e le feste
cariche di simboli gotici possono aver raggiunto interessanti livelli
artistici e culturali ma attenzione l'aver cancellato apparentemente
l'immagine più seria e più triste della morte e di quanto può
avvenire dopo rischia di trascinarci ulteriormente verso mondi di
plastica dove solo l'apparenza e una forzata “felicità” riescono
a coprire solo in parte un vuoto esistenziale che nella solitudine e
quando non siamo coperti dalle cose da fare ci opprime mostrandoci
un'immagine vuota e senza senso della nostra vita galleggiante in un
vivere solo nel presente al di fuori di ogni progettualità o di
collegamento con il passato.